A colloquio con Riccardo Gini, direttore Parco Nord Milano e direttore tecnico Forestami: avete festeggiato di recente i primi quarant’anni di Parco Nord Milano, dalla messa a dimora del primo albero – che ha dato l’avvio al processo di rimboschimento urbano che tutti conosciamo – a oggi, con un polmone verde per la Città metropolitana di circa 800 ettari.
Quali analogie, quali differenze tra il 1983 e il piantare alberi oggi?
Anzitutto che il bosco pensato e progettato quarant’anni fa non è quello che progettiamo oggi. Allora non si conosceva l’evoluzione che nelle successive decine di anni il bosco avrebbe vissuto e attraversato.
Il sesto d’impianto, la distanza tra piante, la forma del bosco erano completamente diverse: si piantava a file parallele, ad esempio, ed oggi si pianta a file curvilinee, perché ciò permette di cogliere la luce in modo più vantaggioso, e per tutti gli esemplari.
Altra differenza: non veniva prevista la fascia arbustiva. Solo successivamente ci si è accorti che un bosco senza arbusti non funziona come ecosistema. Anche gli accessori legati agli interventi di piantagione – come gli shelter – sono evoluti nel tempo e contribuiscono oggi ad un migliore attecchimento.

↑ Parco Nord Milano, così come appariva quarant'anni fa.
Si è potuti giungere a una sorta di ‘regola aurea’ per dare vita a nuovi boschi urbani?
Quest’anno a Parco Nord Milano abbiamo messo a dimora – così come ogni anno per quarant’anni – il quarantesimo lotto, con un ettaro di nuovo bosco a Novate Milanese, al confine con Cormano. Nonostante questa consolidata esperienza, pensiamo sia sempre e ancora necessario sperimentare: principalmente perché le condizioni sono sempre diverse e non da ultimo perché oggi siamo di fronte agli effetti del cambiamento climatico, che ha mutato radicalmente il modus operandi, mettendo in discussione i pilastri con cui in precedenza si piantava.
Il cambiamento climatico è una variabile (che non è ancora diventata una costante) che ci mette nelle condizioni di fare delle riflessioni profonde: eventi estremi, siccità, aumento delle temperature medie ci impongono modifiche in corso d’opera, a partire dalla scelta delle specie fino al ripensamento delle attività di cura e manutenzione dei nuovi boschi.
Ci piace dire che Parco Nord Milano non è un progetto, bensì un processo progettuale: nell’83 è stato messo a dimora il primo bosco, e così via di anno in anno fino al quarantesimo lotto di rimboschimento. Oggi possiamo quindi far riferimento e contare su un quadro di evoluzione, che ci permette di considerare gli eventuali errori commessi e gli eventi che hanno via via modificato l’evoluzione dei diversi lotti. Non fabbrichiamo pistoni per auto!
L’incremento del capitale naturale è un processo che va costantemente rivisto. In collaborazione con il CFU-Centro di Forestazione Urbana di Boscoincittà, abbiamo messo a punto quello che si chiama piano di assestamento forestale: sulla base di quanto osservato in questi 40 anni, mette a fuoco linee guida e logiche comuni di manutenzione del bosco, facendo un’analisi sul campo. E Parco Nord Milano ha la fortuna di essere un vero e proprio laboratorio a cielo aperto: attraverso il Laboratorio Boschi monitoriamo l’evoluzione dei boschi piantati al fine di individuare i fattori limitanti dello sviluppo e approntare le migliori pratiche per la conservazione e la crescita del patrimonio vegetale.

↑ Parco Nord Milano oggi
Cosa avete potuto rilevare da questa osservazione prolungata nel tempo?
Le specie dominanti di oggi non sono quelle che erano state messe a dimora originariamente. Alcune specie pioniere, molto resistenti, come il celtis australis – sebbene non previste nel disegno iniziale – sono presenti nel bosco attuale, grazie ad esempio alla disseminazione degli uccelli.
Oggi si parla molto di autoctonia (versus alloctonia), ma credo che il dibattito e l’attenzione vadano spostate sull’invasività di una specie: una pianta alloctona può non essere invasiva; solo quando è invasiva va combattuta, perché è più forte e soppianta le precedenti, in contrasto con il concetto e il valore della biodiversità.
Tenere circoscritte e sotto controllo il numero di variabili che insistono sullo sviluppo di nuovi boschi urbani è un obiettivo primario. Le variabili sono molte – dal clima, ai roditori, ai vandalismi… tutto sta nel ricavare un po’ di tempo per pensare alle scelte fatte, andando oltre quell’essere sempre un po’ “sotto scacco del fare”, tutto e velocemente. Poter tornare sulle progettazioni in natura è fondamentale: considerare, correggere, ripensare.
Se ci si potesse proiettare nel 2064, quale sarebbe il desiderata?
Il sogno è quello di portare – con il progetto Forestami e tutti gli attori coinvolti sul territorio – tanti Parco Nord all’interno della Città metropolitana. Se mi proietto a quarant’anni da oggi, vorrei che Parco Nord Milano non fosse più l’eccezionalità, ma la prassi; così come suggerisce il logo del Parco e lo stesso intento del progetto Forestami, il bosco deve permeare il tessuto urbano, deve penetrare la città, non essere e rappresentare un confine netto.
Mi immagino che una cultura diffusa dell’importanza del verde urbano nelle nostre città e dell’importanza del prendersene cura, di rispettarlo e sentirlo bene comune, diventino non qualcosa da ribadire costantemente, bensì la normalità; seguendo il modello della raccolta differenziata, che oggi è entrata nei nostri comportamenti abituali, così dovrebbe essere nei confronti di questa nostra infrastruttura verde che così tanti benefici ci regala.
E poi, come il bosco di Parco Nord Milano è stato fatto tutto da giovani, che oggi infatti ce lo possono raccontare, altro auspicio per il futuro è che questo slancio generazionale si possa riprodurre; che le nuove generazioni possano raccogliere questo testimone e portare avanti i progetti in corso, capitalizzando sulle esperienze passata e arricchendosi del confronto costante con analoghi progetti internazionali.
