NOME COMUNE: Leccio
NOME BOTANICO: Quercus ilex
Il leccio è una pianta originaria dell’area Mediterranea, di cui è una tipica essenza: lo si trova ampiamente sia in Europa meridionale che nel Nord Africa. Il nome del genere, quercus, è probabilmente un lemma celtico, kaer quer, che indica la bellezza e la robustezza degli esemplari. Ilex, invece, era il nome latino utilizzato da Linneo per descrivere tutte le piante con foglie spigolose simili a quelle dell’agrifoglio: un’etimologia riconduce il termine al greco hyleis, ovvero boscoso, selvatico.
Il tronco del leccio è piuttosto corto, e spesso si divide in grosse ramificazioni che si contorcono l’una sull’altra. I rami spuntano con un angolo di novanta gradi su tutta la lunghezza del fusto, a partire dalla base. La corteccia è nera e ruvida, liscia nei primi anni e fessurata e rugata a maturità. Sui giovani rami, invece, assume un colore più chiaro, grigiastro.
Il leccio è un’essenza sempreverde: le sue foglie vivono in media due o tre anni. Sono spesse e coriacee, hanno una forma ovale, appuntita, con il margine a volte liscio, a volte dentato e quasi spinoso – a seconda dal tipo di terreno e dalla luce che l’esemplare riceve; da qui la somiglianza con l’ilex. La pagina superiore è verde scuro e lucida, l’inferiore bianca e coperta di tomenti. Molte volte la pianta presenta eterofillia: le foglie alla base sono spinose, quelle apicali hanno un margine liscio.
La stessa pianta ospita fiori maschili e femminili, su parti diverse del rametto. I maschili sono riuniti in un amento giallo, lungo sino ai 6 cm. I femminili possono anche trovarsi singolarmente, e sono comunque in gruppi più piccoli. Il frutto del leccio è una ghianda di circa uno o due cm, dalla punta affusolata: per metà sono coperte da squame coperte da peluria. Spesso, fungono da pastura per i suini.
In Italia se ne trovano numerosi di monumentali. Ricordiamo il lici di Carrinu, o Leccio di Carlino, nel territorio di Zafferana Etnea: esemplare di circa 700 anni, alto 25 metri e con una chioma di 30 metri di diametro. Nel mondo greco, romano e italico aveva un forte valore sacro: Ovidio raccontava che le anime immortali, in forma di ape, riposassero sui fiori del leccio, e ne suggessero il miele.
«Cosimo stava volentieri tra le ondulate foglie dei lecci (o elci, come li ho chiamati finché si trattava del parco di casa nostra, forse per suggestione del linguaggio ricercato di nostro padre) e ne amava la screpolata corteccia, di cui quand’era sovrappensiero sollevava i quadrelli con le dita, non per istinto di far del male, ma come d’aiutare l’albero nella sua lunga fatica di rifarsi».
Calvino, Il barone rampante

↑ Le illustrazioni della rubrica Li conosciamo davvero? di Forestami sono realizzate dalle illustratrici Annalisa e Marina Durante, docenti di Super - Scuola Superiore d'Arte Applicata