Tree Time è la mostra che MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, rende fruibile sul proprio sito, online fino a maggio 2021. La mostra affonda le radici nel progetto espositivo presentato a Torino nel 2019 dal Museo Nazionale della Montagna, traendo linfa dal concetto di tempo: come spiega il curatore Andrea Lerda, si tratta di un tempo inteso come evoluzione, e non ultimo di un tempo futuro – a cui guardare, verso cui muovere.
Che cosa ci insegna il nostro tempo? Ci troviamo nell’era dell’Antropocene, un’epoca in cui la presenza umana si è fatta tanto intensa ed intensiva da risultare esorbitante. L’intervento umano, insomma, avrebbe finito per intaccare pesantemente il tessuto “globale” nel suo insieme, modificando quella preziosa inter-connessione che è il Mondo. “Antropocene” indica perciò uno sbilanciamento: se prima le numerosissime – quasi infinite! – interazioni tra gli abitanti della Terra (si parla qui di animali, vegetali, minerali…) riuscivano a trovare un’armonia, l’attuale ingerenza dell’homo sapiens impedirebbe di ritornare all’equilibrio. Da questo tempo nasce dunque un’emergenza che mette in forse tutto il tempo futuro. Dove guardare, per trovare soluzioni, vie d’uscite?
La risposta è forse semplice: guardiamo alle piante. La mostra sceglie, in particolare, di interpellare quei magnifici macro-organismi che sono le foreste, che in fatto di equilibrio fanno scuola, e sono tra gli ecosistemi più antichi al mondo.
Tree Time – con le sue 5 sezioni e le ulteriori ramificazioni in podcast, consigli di lettura e di ascolto – “imita” la saggezza a più voci della foresta, e crea così un percorso che si snoda in opere, testi e vere e proprie “call” a studiosi (che paiono rispondere a una nostra reale chiamata per dare, proprio a noi, nuove panoramiche e saggi consigli).
“una sola foresta ospita al suo interno migliaia di alberi e milioni di organismi. Funghi, microbi, impollinatori e insetti ricoprono un ruolo essenziale nel mantenimento della biodiversità e delle funzioni di ecosistema delle foreste”
Tree Time pare operare una precisa e preziosa scelta transdisciplinare e multimediale. Come a dirci: per ogni forma di vita, ecco anche un differente modo di stare al mondo, e un differente modo di raccontarlo. Da qui la virtuosa tessitura di fotografie, video, musiche e suoni, testi saggistici e narrativi. Prevale, fil rouge comune a tutti gli interventi, l’appello a una mobilitazione perché si giunga a un tempo più verde – a un tempo che sia “salvo” rispetto al rischio del riscaldamento globale, dell’impoverimento dei terreni, dello scioglimento dei ghiacciai e delle estinzioni di massa. Dove questo futuro sia collocato, però, è ancora tutto da vedere. Lo si potrà mai localizzare? Scriveva Gilles Clément, autore e biologo che con la mostra condivide più di una prospettiva, che “il futuro non si trova in alcun luogo preciso: sta in mezzo”. Un po’ come una foresta: chi può dire dove essa finisca, e dove cominci? Le si può tracciare un confine, un bordo, o questi tentativi piuttosto si “sfrangiano” lungo gli arbusti ed alberi che la compongono? La foresta è proprio dove questi arbusti e alberi – e questi funghi, questi insetti, questi animali che vi transitano – una foresta fanno. E così il nostro futuro: che si realizza proprio negli individui che si attivano perché un avvenire, e un mondo abitabile, possa effettivamente essere garantito. Il tempo futuro, insomma, si trova in chi protegge le foreste, in chi si mobilita per farle crescere, e non ultimo in chi ora le racconta. Come fa, a più voci, il MUSE.
«il deteriorarsi delle condizioni delle foreste si riflette inevitabilmente anche sulla qualità della nostra vita, esponendoci a condizioni ogni giorno più insicure e imprevedibili»