NOME COMUNE: Gelso bianco
NOME BOTANICO: Morus alba
Ampio e affascinante albero da frutto, il Gelso bianco è originario di Cina settentrionale e Corea, e giunge in Europa solo nel Medioevo. In origine chiamato albero della seta (si credeva, erroneamente, che questa fosse prodotta direttamente dalla pianta), si diffonde rapidamente in quanto unico alimento dei bachi.
Ha nome “gelso”, ed è l’albore le cui foglie mangiano gli vermini che fanno la seta: così Marco Polo, ne Il Milione, presentava Morus alba.
Il gelso bianco è un’essenza longeva, oltre che imponente: nel corso della sua vita (può arrivare a trecento anni!) raggiunge i 20 metri di altezza. Il tronco presenta ramificazioni irregolari e maestose che danno luogo a una chioma folta, dalla forma arrotondata. Le radici, dall’acceso colore aranciato, si snodano nelle profondità del terreno attraverso un fitto sistema capillare, che permette all’albero di resistere a moderate siccità.
La corteccia – negli esemplari giovani grigiastra – diviene col tempo bruna, sviluppando solchi e scaglie allungate. Racchiude un lattice bianco estremamente denso ed irritante. Il suo legno pregiato viene utilizzato per la creazione di botti ed altri utensili, per lavori di fine intarsio e come combustibile.
Le grandi foglie presentano un forte polimorfismo: su uno stesso esemplare possono assumere una forma simmetrico-triangolare, cuoriforme, o ancora lobata. Sono glabre in entrambe le pagine, hanno i margini seghettati e un apice acuto. Di un verde brillante durante la primavera, si colorano di un intenso giallo in autunno.
Le foglie del gelso costituiscono l’unico alimento del baco da seta: si racconta che nel 550 d.c., sotto l’ordine di Giustiniano, monaci del Monte Athos avessero portato a Costantinopoli il piccolo animale e il seme dell’albero, nascosti in una canna di bambù, sottraendo così all’Asia il monopolio della produzione della pregiata stoffa.
Sulla stessa pianta, anche se in diverse porzioni del ramo, si trovano sia i fiori maschili che i femminili (pur separati, in tratti diversi del rametto). I primi sono riuniti in infiorescenze verdastre e dalla forma allungata, mentre i secondi si raggruppano in amenti più corti e ovali. Il falso frutto ha una forma che ricorda la mora, e da ciò prende il nome: generalmente di un colore rosato o bianco, quasi avorio, può arrivare a tingersi di rosso cupo. Il tipico sapore risulta dolce già prima che il frutto giunga a maturazione.
Considerato “albero sapientissimo” perché ultimo a sbocciare ed il primo a maturare i frutti, in Europa divenne presto noto come “albero d’oro”, a motivo del suo impiego redditizio nell’industria della seta.
“Giunti alla classe terza la maestra Elisa, che l’autunno precedente aveva voluto a che ogni scolaro arrivasse a scuola con un diverso ramoscello d’albero, alla fine del maggio 1929 ci portò dei bozzoli dalla pianura. Ci spiegò che dentro ognuno c’era una farfalla che prima era bruco e prima ancora piccolo ovetto che, dischiuso al tempo che i gelsi mettono le foglie, mangiando queste era mutato e cresciuto fino a costruirsi intorno la sua casa di fili di seta”.
(Mario Rigoni Stern, Arboreto Selvatico)