Giorgio Vacchiano, ricercatore e autore di La resilienza del bosco
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente di in Gestione e pianificazione forestale presso l’Università Statale di Milano, autore di La resilienza del bosco, Mondadori, un libro che ci ha ispirato, che ci aiuta a immaginare il nostro futuro in relazione all’ambiente che ci circonda. Ecco l’intervista.
Siamo coscienti di non poter vivere in un mondo senza alberi?
Secondo me ci sono due situazioni, sia a livello planetario che in Italia: una parte della popolazione è certamente consapevole dell’importanza delle foreste; e sono proprio quelli che alle foreste e agli alberi devono la loro sopravvivenza, dire, oltre che la loro qualità di vita. Le foreste ci danno moltissimi benefici, sia quando sono in città sia nel loro ambiente naturale: ci proteggono dagli eventi meteorologici estremi, proteggono il suolo dall’erosione e le abitazioni dalle frane; assorbono parte dei gas serra che noi purtroppo emettiamo in eccesso; fanno da habitat a specie animali e vegetali, purificano l’aria, assorbono le particelle inquinanti e rinfrescano l’atmosfera. Molte persone nel mondo beneficiano direttamente di questi servizi; si pensa che circa 1 miliardo di persone dipenda dalle foreste per bere acqua pulita: il suolo forestale filtra l’acqua e le permette di arrivare a valle in quantità costante e continua.
C’è ovviamente anche un crescente distacco da parte di un certo settore della popolazione nei confronti delle foreste e degli ecosistemi in generale; vivere in città ci ha disabituati a capire e a conoscere come funzionano gli ecosistemi e a percepire immediatamente la loro utilità per noi.
In più viviamo in un secolo in cui la separazione artificiosa tra uomo e natura è stata continuamente ampliata da parte di una certa cultura, soprattutto qui in Occidente.
Forse è necessario ricomporre questa frattura. Per me il modo migliore di farlo è raccontare delle storie. Noi siamo evolutivamente selezionati per ascoltare le storie, per identificarci con delle personae, con quello che gli capita; quindi raccontare storie di chi dalla foresta dipende – una persona, una comunità, un popolo indigeno oppure no – ci può aiutare a visualizzare quello che un po’ nella nostra vita abbiamo perso, almeno apparentemente. Perché in realtà tutti i giorni siamo ancora a contatto con le foreste: il legno da cui siamo circondati, seduti anche qui oggi, deriva dagli alberi, è un’estensione degli ecosistemi.
Pinus longaeva – alberi millenari campioni di resistenza – che insegnamento ci portano?
Nel mondo degli alberi vige questa legge: chi cresce lentamente gode di una lunga vita; chi spende subito le proprie risorse, purtroppo muore presto. Aggirarsi nella foresta di Pinus Longaeva nelle White Mountains della California fornisce l’esempio migliore di questa legge da cui anche noi potremmo imparare. Si tratta di un paesaggio lunare, con alberi che hanno tra i 4 e i 5 mila anni di età. Aggirarsi in mezzo a questi esseri viventi, magari in una sera di novembre al crepuscolo, come ho avuto la fortuna di poter fare io, risistema la tua concezione del tempo. Ti fa sentire piccolo, ma non insignificante; semplicemente ti insegna che c’è qualcosa nel mondo che dura più di te e che forse per questo merita tutta la tua attenzione e cura.
Bellezza e funzione, ovvero del design della natura.
E’ interessante questo discorso sulla bellezza. Il canone estetico anche per le foreste cambia molto, ed è cambiato molto anche nella nostra cultura. Ci sono tante persone che amano una foresta-parco: un bosco con degli alberi magari molto grandi, ma con molta luce, un luogo luminoso dove si può passeggiare tranquillamente senza essere ostacolati da altra vegetazione.
Ci sono invece persone che amano una foresta più eterogenea, con alberi di tutte le dimensioni, con molte specie, con erbe, arbusti; o addirittura legno morto, che però ci da’ un’idea dei processi naturali che avvengono; gli alberi hanno periodi di vita, crescono, invecchiano, muoiono, e poi rinascono, a volte anche grazie a questo legno morto che gli fa un po’ da balia, da substrato naturale. Effettivamente dobbiamo dire che questo tipo di foreste ha anche un funzionamento migliore; dove ci sono più specie, dove ci sono più piani di vegetazione, dove c’è il legno morto, dove i processi naturali riescono ad avvenire, tutti i benefici che le foreste ci danno – l’acqua, il sequestro di carbonio, la protezione del suolo e anche la produzione di legno – sono generalmente maggiori. L’ecosistema è più stabile e riesce a resistere meglio anche alle pressioni esterne.
Dendrocronologia, che cos’è?
Fin da bambini sappiamo che possiamo conoscere l’età di un albero contando gli anelli formati nel suo tronco. Ma gli anelli non ci dicono soltanto l’età; ci parlano anche di come è vissuta quella pianta nel corso della sua vita: un anello largo vuol dire che la pianta aveva buone condizioni per fare fotosintesi e produrre legno; un anello molto stretto invece può significare una siccità, un attacco di parassiti, una gelata, qualcosa che ha messo la pianta in difficoltà e l’ha costretta a tirare i remi in barca. Analizzando la sequenza di anelli annuali – che in alcune piante può arrivare a molte centinaia, addirittura migliaia di anni – riusciamo quindi a ricostruire le condizioni di crescita; per esempio riusciamo a ricostruire il clima in un periodo in cui non abbiamo misurazioni strumentali; e questa memoria, questo racconto degli alberi, diventa quindi fondamentale per comprendere cosa sta succedendo, anche oggi, al nostro pianeta.
C’è una specie arborea che più di altre ti piace?
Un albero che mi ha affascinato è chiaramente la sequoia. Ma non forse per le ragioni che pensate: non tanto per le sue dimensioni; certo aggirarsi in un bosco di sequoie è di nuovo un’esperienza strabiliante, straordinaria!
Ma soprattutto perché la sequoia invece nasce da un seme piccolissimo.
Tenere in mano uno di questi semi o anche una pigna di sequoia – che non è più grande di un centimetro – ti dà l’idea del potere del tempo, delle potenzialità nascoste in un seme, delle relazioni che questo seme deve stringere con tutte le componenti dell’ambiente intorno a sé per poter crescere, sia quelle che conosciamo – come l’acqua, la luce del sole, le sostanze nutritive; sia quelle inaspettate, come il fuoco che – per la riproduzione, la propagazione delle sequoie – gioca un ruolo fondamentale, eliminando i concorrenti e permettendo a questi piccoli semi di svilupparsi bene.
Hai consigli per far conoscere meglio il progetto Forestami?
Io credo che il segreto stia proprio nel raccontare delle storie; nel cercare di far percepire, far riscoprire alle persone il loro legame con gli alberi. Abbiamo vissuto troppo tempo con l’idea che la natura, gli alberi fossero qualcosa di separato da noi; magari dove andare a passare una bella giornata la domenica, il weekend, ma poi tornare a casa e separarci nuovamente. Bisogna invece puntare sui legami, spiegare alle persone, fargli toccare con mano, perché gli alberi sono importanti per la loro vita: perché ne va della loro felicità. Un esempio può essere il legno. Tutti abbiamo un oggetto di legno in casa con cui possiamo entrare in contatto; con quella che una volta era una foresta. Da dove viene quell’albero? Che cosa ha vissuto? A volte si vedono ancora gli anelli negli oggetti di legno; si può fare questo lavoro di ricostruzione anche da casa. Un albero in città: quanta pioggia può trattenere, quanto fresco mi può portare in una calda giornata d’estate? Quindi che cosa ha a che fare con me? Ecco questa penso sia la domanda a cui è importante rispondere.